lunedì 30 novembre 2015

PRIMA DEL DOLORE (UNA POESIA)



 
Ti regalavo poesie
incartate di stagnola
che ti mettevo sotto il piatto
ai compleanni

 

per un attimo la luce si accendeva
nel tuo sguardo affaccendato ad altro
poi riponevi le mani
a impastare dura la tua rabbia
e io giocavo da sola
con i bottoni a forma di gioiello

 

non sono riuscita a renderti felice
nemmeno se facevo capriole
ho smesso presto
per non stranire l´aria
sempre elettrica di tuono

 

non hai saputo consolare i miei terrori
quando io mi alzavo scalza
al livido dell´alba
per vederti dormire a bocca aperta
nell´unica casa degna di quel nome

 

e dopo è stato tutto uno spavento
di valige da disfare in alberghi senza bagno
e rughe amare ai lati della bocca
fino al dolore folle
quello che non si può chiamare
ed era solo tuo nel petto
io ero dietro a proteggerti le spalle
dai suoi colpi asciutti
a farmi ombra buona che non chiede

 

adesso ho ripreso a fare capriole
e rido rumorosa con tutte le vocali
mentre provo a farti carezze che mi sfuggi
sui capelli slavati di colore
come quelli dei neonati

 

e con le dita ti spiano le rughe sulla fronte
e tiro in su il triangolo del viso
a farti bella ancora come una regina

forse era quello che volevi
io diventata vecchia e tu bambina
 

e non mi aspetto più i sorrisi
che non hai saputo regalarmi

 

mi basta ogni minuto che sei viva.


mercoledì 11 novembre 2015

IL LUOGO COMPASSIONEVOLE



Succede che tu riprenda a studiare, nonostante gli anni. Con più gusto e attenzione di una volta. Una scelta del cuore. Seguire finalmente fino in fondo le tue predisposizioni, dar loro spazio e approfondimento, impegnarti e non sentirti strana fra compagni di studio molto più giovani, anzi, sentirti a casa, in un luogo di scambio di competenze ed emozioni. Prendere appunti a mano, provando la gioia di scrivere, come hai sempre fatto al Liceo e all’Università, e andare a rileggerli in treno, tornando a casa,  quasi due ore di viaggio che volano, dopo l’intensità di tre giornate trascorse ad imparare, ancora e ancora. E succede che fra tutte le lezioni, intense, interessanti, a volte complicate, una ti catturi più delle altre, ti faccia battere il cuore, ti faccia emozionare. L’insegnante è giovane e ha degli occhi chiari e profondi. E’ generoso, non si risparmia, parla, spiega, argomenta con precisione, competenza e soprattutto grande passione. La materia la padroneggia, l’ha fatta sua, e per questo riesce a coinvolgerti, a coinvolgere tutti così tanto. E appena torni  ordini subito su Internet il libro da lui curato e te lo leggi di un fiato. Trovi l’eco della sua voce e della sua passione e i concetti sulla carta ti rimangono impressi, come fossero marcati a fuoco, indelebili, nella mente e nel cuore. E fra gli esercizi suggeriti sulla compassione, perché è la compassione il tema della lezione, tu ne prediliga uno e da quel giorno lo pratichi regolarmente. E’ l’esercizio del “luogo compassionevole”. Si tratta di sedersi a occhi chiusi, di seguire per qualche attimo il respiro, e di immaginare un luogo in cui ti  senta o ti sia sentita amata, al sicuro, protetta. Un luogo che ti trasmetta agio, gioia, sicurezza. E che, questa è la cosa strana, provi amore per te e voglia che tu sia felice, e si adoperi, con il suo semplice essere lì, a procurarti pace, benessere e protezione. Un luogo sorgente di infinita compassione e  desiderio che tu stia bene, completamente, nel corpo e nella mente. La prima volta che hai provato a fare questo esercizio molti luoghi si sono accavallati nella tua mente ed erano tutti luoghi molto belli, legati soprattutto ai  viaggi, oppure luoghi che ami del tuo paese, in collina, con la vista sul mare. Ma nessuno ti procurava quella sensazione di amore incondizionato, nessuno ti faceva sentire al sicuro, protetta e circondata da quell’atmosfera di pace e benessere che veniva suggerita dall’esercizio. Finché all’improvviso ha fatto capolino un’immagine vivida, molto vivida.
Un prato in Sardegna. Primavera. Luce del mattino. Uccelli che cantano. Un albero di ulivo. Tu bambina vestita di chiaro. Il tepore del sole sulla pelle. E all’improvviso quella sensazione: di bellezza pura, incontaminata, luminosa e di amore che avvolgeva tutto e da cui ti sentivi protetta. Eri al sicuro, come se sulla terra quello fosse il luogo eletto, il luogo deputato a renderti felice, di quella felicità che solo i bambini provano, fatta di cose semplici e belle, e che purtroppo poi si dimentica, presi dall’affanno della mente. E ricordi che tu, bambina, non hai pensato: che bell’albero, che bel prato, come sono felice! No. Eri totalmente presente, con tutti i sensi aperti ad accogliere quella sensazione di amore e meraviglia. Senza pensare. Spalancata all’esperienza, pura. Quel luogo si prendeva cura di te e tu ti abbandonavi alla sua cura. Ecco, in quel luogo puoi tornare ogni giorno, in ogni momento. E ogni volta riprovare quelle sensazioni e quelle emozioni. Il luogo compassionevole. Che si prende cura di te. E ringrazi dentro di te il professore dagli occhi chiari e durante l’esercizio gli mandi un po’ di quell’amore.

martedì 3 novembre 2015

AMERICA ( Non sono un Bonsai)



E’ emozionante sapere che c’è qualcuno che legge assiduamente questo blog dagli USA. Non conosco nessuno che viva lì. E sarei veramente curiosa di sapere cosa pensa questa persona delle cose che scrivo. Non sono mai stata negli Stati Uniti, è uno di quei viaggi a lungo desiderati e sempre rimandati. E spesso ho sognato N.Y. Sogni belli, luminosi e spaziosi. Cammino per le strade e le riconosco, mi ci trovo a mio agio, centinaia di film visti nella vita mi hanno fatto imparare nomi di piazze e viali, Central Park è ormai un luogo caro e persino Ground Zero è stato protagonista una notte di un mio sogno allegro. Ho già in mente il viaggio che farò, e non ho dubbi che lo farò, ed è un viaggio strano, alla ricerca delle mie radici poetiche e artistiche. Vorrei andare a visitare la casa- atelier  di Louise Bourgeois, artista meravigliosa che ho molto amato. E poi fare una capatina in Massachusetts  ad Amherst, per rendere omaggio ad Emily Dickinson. La sua casa bianca in mezzo al verde, con le finestre ampie affacciate sul giardino, e la sua piccola stanza spartana e linda, le conosco a memoria, descritte così bene nelle sue poesie, e vorrei posare un fiore di campo bianco, come le sue vesti, sulla sua tomba. E poi andrei in New Mexico, a farmi abbagliare dalla luce del deserto che tanto ha affascinato Georgia O’Keeffe, e visitare il Museo a lei dedicato.
                        I fiori di Georgia O' Keeffe
Da lì farei un salto in Arizona per godere della meraviglia del Gran Canyon e per un attimo mi sentirei come Thelma e Louise, libera e selvaggia, con la voglia matta di volare fra quelle gole. Luce, aria asciutta, silenzio, spazio infinito, pace. Tutte artiste donne? E gli uomini, è possibile che nessun americano mi abbia ispirata? Certo che no, non è possibile. Andrei a visitare i luoghi di Raymond Carver, la sua casa di luce fra due fiumi a Port Angeles, e mi commuoverei pensando alla sua dolcezza, alla sua mitezza, alla sua generosità di scrittore e di uomo. E tornata a N.Y, prima di ripartire, farei una capatina alla libreria di Ferlinghetti e mi emozionerei al pensiero di tutti gli artisti della beat generation passati di lì, notti intere a fumare, bere e declamare poesie, ascoltando dell’ottima musica.
Lawrence Ferlinghetti nella sua libreria
E tutto il resto? L’America è immensa e naturalmente dovrò fare delle scelte. E perché no un bel viaggio coast to coast, in autobus Greyhound, guardando incantata il paesaggio dal finestrino, con calma, assaporando i cambiamenti notte-giorno, freddo-caldo, deserto-bosco, città-villaggio e così via? E come ultimo omaggio alle radici, quelle di sangue e di sudore, una visita a Ellis Island, cercando di imprimermi nel cuore e nella mente le immagini degli oggetti e delle foto di quegli emigranti pezzenti e coraggiosi, fra i quali anche il mio nonno paterno, che hanno contribuito alla grandezza dell’America.
USA, prima o poi verrò. E tu, lettore o lettrice del mio blog, continua a leggermi, spero che le mie parole qualche volta ti facciano sorridere o commuovere, o semplicemente ti aiutino a prendere la vita con un pochino più di fiducia e di dolcezza. E intanto goditi l’America,  anche per me.   




NON SONO UN BONSAI





 Non sono un Bonsai
ho bisogno di spazio e di luce
non voglio restarmene chiusa
a soffocare radici
con foglie sofferte
e piccolo tronco contorto
rinunciare a scavare i miei spazi
in solchi di meraviglia
e muovere mani e caviglie
in danza sciamana
neppure mi posso piegare
mansueta
gentile alla cura
quel poco che basta
di acqua e di vaso
più piccolo è meglio
fa effetto bambino
lasciatemi libera
di chioma e di vento
di sole e di pioggia
da assorbire rapita
voglio riprendermi vita
nei gesti e nel canto
nella preghiera al mattino
nel collo che tende su in alto
nei piedi che lasciano tracce
nelle parole baciate
nell’erta salita
che dopo diventa splendore
mi abbraccio stupita
mi perdo nell’aria
mi accendo di arancio
e di porpora al sole
non sono un Bonsai
minuta creatura
ridotta a un’immagine
di finta armonia
io sono allegria
che espande i confini
di lingue e colori
e gioca con nastri di raso
in piroette radiose
salvando il dolore
dal buio e dall’oblio
c’è stato l’amore
a nutrirmi la terra
aspetto con calma
stagione più bella
per fiorire di nuovo
al tempo che è mio.